Comunicato Stampa - Gli archeologi italiani esprimono il proprio parere sull'autonomia differenziata alla I commissione del Senato

L’Associazione Nazionale Archeologi avendo esaminato i DDL nn. 273 e 615 in materia di “attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art. 116, comma terzo, della Costituzione” ha espresso il proprio parere alla I Commissione del Senato, in particolare per quanto attiene più direttamente all’ambito dei beni culturali e del paesaggio, e a quello professionale in generale.

La richiesta di avocare alle regioni poteri, funzioni e competenze (legislative e amministrative) proprie dello Stato, del Ministero della Cultura, e dei suoi organi periferici, le Soprintendenze, ci trova in disaccordo in quanto produrrebbe la pericolosa trasposizione dei processi di tutela e di valorizzazione da un piano tecnico nazionale ad uno politico regionale (come già oggi avviene ad esempio in Sicilia, che in questo caso costituisce un esempio pratico negativo).

Con riferimento alle possibilità di attuazione del dettato costituzionale costituito dal comma 3 dell’articolo 116 della Carta, per la cosiddetta "autonomia differenziata" delle regioni a statuto ordinario, l’ANA ribadisce che esso può e deve essere inquadrato nella sua portata autonomistica intrinseca al nostro modello repubblicano nazionale unitario.

Resta fondamentale che lo Stato mantenga funzioni superiori di controllo e verifica di quanto prodotto in sede regionale e locale. Spostare tali funzioni dallo Stato alle regioni crea uno squilibrio di poteri. Si verificherebbe, ad esempio, nell’ambito dei piani paesaggistici regionali: oggi questi importanti strumenti di pianificazione territoriale sono elaborati dalle regioni e sottoposti al parere degli organi competenti del Ministero della Cultura. Un sistema di contrappesi che garantisce l’esercizio delle tutele previste dalla Costituzione. La richiesta, da parte delle regioni, di ricevere attribuzione di potestà legislativa e amministrativa in materia di tutela dei beni paesaggistici, farebbe venire meno il dovuto contrappeso democratico tra chi elabora il piano, e chi lo controlla e lo approva.

Se consideriamo che già oggi il Codice dei Beni Culturali prevede che “le regioni, il Ministero della Cultura ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possono stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici” (art. 143, c.2), sembra proprio che il problema delle regioni non sia di autonomia, ma di voler evitare ogni forma di controllo e verifica da parte dello Stato”, sottolinea Alessandro Garrisi, Presidente Nazionale ANA, che prosegue: “Anche le richieste di autonomia in materia di “Professioni”, tuttavia, destano non poca preoccupazione. Prevedere, ad esempio, l’istituzione di nuove professioni non ordinistiche riguardanti competenze connesse alle specifiche regionali, creerebbe un proliferare di nuove professioni a carattere regionali la cui compatibilità con le normative europee in materia di libera circolazione dei beni e servizi appare più che dubbia. E se immaginiamo la possibile istituzione di figure professionali riconducibili a professioni già esistenti come l’archeologo o l’archivista - magari caratterizzate in senso regionale - sono ipotizzabili esiti palesemente discriminatori”.

La tutela, la gestione e la valorizzazione, non mercificata, dei Beni Culturali, intesi nella loro totalità, devono restare di competenza nazionale, seppur con le devoluzioni alle regioni già previste dalla legge: sia per ragioni di continuità scientifica e di dettato costituzionale, ma anche e soprattutto perché si tratta di beni comuni e collettivi di tutta l’umanità, di cui noi siamo attuali custodi affinché siano trasmessi ai posteri.” dichiara Giancarlo Garna, delegato ANA in materia di “Archeologia e Comunità”, che prosegue: “Sarebbe invece utile investire maggiormente nel coinvolgimento delle comunità locali e nel potenziamento della consapevolezza del valore unificante del patrimonio, favorendo il più ampio accesso ad esso (come anche da risoluzione ONU 33/20 del 2016, e come previsto anche dalla Convenzione di Faro), per esempio istituendo la figura dell’archeologo di comunità”.

Sarebbe un errore, innanzitutto culturale, definire i beni culturali in senso territoriale, escludente per definizione.

Si tratta di patrimonio della Nazione. E tale deve restare, a cominciare dalla sua tutela.

 

Documento ANA Autonomia Differenziata.pdf